LA FATTURA NON CONTESTATA E ANNOTATA HA EFFICACIA PROBATORIA DELL’ESISTENZA DEL CONTRATTO

Nel contesto giuridico italiano, la fattura commerciale ha sempre rivestito un ruolo primario come strumento di prova nell’ambito delle controversie contrattuali.
Di fatto la fattura è un atto di formazione unilaterale, senza il concorso del destinatario e, da sola, non sarebbe sufficiente a dimostrare l’esistenza di un contratto e, conseguentemente, di un credito, avendo efficacia probatoria soltanto nei confronti dell’emittente, in quanto reca la prestazione e l’importo del prezzo addebitato.
E’ noto che la fattura commerciale, sebbene possa essere idonea come fonte di prova di valutazione del giudice in sede monitoria per l’emissione del decreto ingiuntivo, in caso di giudizio di opposizione assume natura di mero indizio della sussistenza di un rapporto contrattuale, essendo necessaria la produzione di un documento a carattere bilaterale.
La giurisprudenza di merito, nel corso degli anni, ha avuto modo di riconoscere efficacia probatoria piena alla fattura ove essa sia accompagnata da altra documentazione comprovante la sussistenza del rapporto contrattuale, ad es. ordine di acquisto, polizza di carico, documento di trasporto, corrispondenza tra le parti.
Ma, la giurisprudenza più recente ha, altresì, ritenuto che solo in presenza di una contestazione specifica dell’esistenza del rapporto contrattuale, la fattura perde la sua efficacia di prova per regredire alla natura indiziaria.
Infatti, già “in tema di ingiunzione civile, nel giudizio di opposizione, il negozio giuridico sottostante l’emissione delle fatture deve essere oggetto di contestazione specifica e non essere considerato equivalente della contestazione il generico richiamo alla regola dell’onere probatorio e alle regole sull’efficacia probatoria dei documenti, richiamo che è del
tutto inconferente perché l’onere della prova viene in considerazione solo in presenza di una specifica contestazione” (Tribunale Roma, n. 12763, 21.06.2018).
Va precisato, inoltre, che “se è vero che la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio, va nondimeno considerato che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il comportamento dell’opponente che non abbia negato l’esistenza del rapporto, né abbia contestato la
corretta e completa esecuzione ad opera della controparte dei lavori commissionati oggetto di contratto (limitandosi ad una generica contestazione in ordine al valore probatorio dei documenti – fatture – ex adverso prodotti) assume indubbio valore indiziario in ordine all’esistenza del credito avversario e alla correttezza del suo ammontare” (Tribunale di
Brescia, n. 782, 15.03.2018).
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3581 del 08.02.2024, è tornata ancora sul tema, offrendo una riflessione approfondita sulla valenza probatoria delle fatture commerciali, inserendosi nel solco già delineato dalla precedente giurisprudenza.
La stessa ha ribadito il principio secondo cui, sebbene la fattura commerciale, in quanto atto formato unilateralmente dall’asserito creditore, non ha di per sé valore di piena prova circa l’esistenza del credito e, ancor meno, del contratto sotteso, essa è elevata al rango di prova piena dei predetti fatti, e non già di mero indizio, allorché il debitore non abbia
provveduto a contestarla (anche in via stragiudiziale), rendendo così controversa la sussistenza del debito e/o del rapporto obbligatorio ed abbia, altresì, provveduto alla relativa annotazione nelle proprie scritture contabili.
In particolare, in relazione a tale ultimo profilo, la Suprema Corte ha osservato che l’annotazione della fattura nelle scritture contabili del destinatario possiede, per giurisprudenza consolidata, natura confessoria ex art. 2720 cod. civ. Si tratta, infatti, di un atto ricognitivo in ordine a un fatto produttivo di effetti giuridici sfavorevoli nei confronti del
dichiarante, la cui efficacia dimostrativa non può che poggiare sulla regola di comune esperienza secondo cui nessuno dichiarerebbe fatti a sé sfavorevoli, se questi non fossero rispondenti al vero.
In linea generale, l’impresa che registri una fattura passiva nella propria contabilità senza contestarla sta riconoscendo di essere debitrice nei confronti dell’impresa che ha emesso tale fattura, con valore di piena prova di quanto riportato in fattura a vantaggio di quest’ultima.
La giurisprudenza ha delineato, quindi, un equilibrio tra la necessità di garantire certezza delle transazioni commerciali e quella di evitare abusi nella valorizzazione probatoria delle fatture commerciali. La fattura assume una valenza probatoria piena solo quando inserita in un contesto di accettazione tacita o esplicita del destinatario, confermando così la sua centralità nelle dinamiche contrattuali.
E’ dunque importante che, in presenza di fatture relative a prestazioni e/o forniture da contestare, l’impresa ricevente provveda tempestivamente alla loro contestazione.
A fronte dell’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica, il principio enunciato dalla Suprema Corte va conciliato con l’impossibilità, da parte di soggetti diversi dalla Pubblica Amministrazione, di rifiutare il ricevimento di una fattura elettronica pur se oggetto di contestazione e dunque di rifiutare la sua annotazione nelle scritture contabili, come invece richiesto dalla Cassazione.
Al fine di ovviare a detta circostanza, è consigliabile procedere immediatamente sia con l’invio di una pec all’emittente, con la quale si contesta la fattura e si intima il suo storno con emissione di nota di variazione a credito, sia con l’annotazione nelle scritture contabili di detta contestazione, ciò al fine di evitare l’effetto confessorio ritenuto dalla Corte di legittimità.